#intervistaGLAMOUR10 | Pietro Amendola Couture

Uno stilista del centro di Reggio Emilia che ti regala emozioni. Lui fa vivere un sogno alle sue clienti, Pietro vuole arrivare al cuore della gente con le sue creazioni. Nella sua atelier si respira GLAMOUR, si diventa GLAMOUR e si esce ancora più GLAMOUR!

Pietro, raccontaci la tua storia: quando hai scoperto di avere la dote di creare arte con stoffa e colori?

Fin da bambino amavo l’arte, i colori e tutto ciò che poteva essere creativo. Intorno ai sette/otto anni ebbi una folgorazione: il programma “Donna Sotto Le Stelle” – che io adoravo, mi chiudevo in casa quelle tre ore per guardarlo – quell’anno fece uscire dalla passerella un meraviglioso abito di Versace con una gonna pazzesca ispirata alla pop-art. Lì io ho visto il mio percorso, il mio futuro: volevo creare abiti! Ho sempre giocato con colori e stoffe. Facevo gli abiti per le bambole di mia sorella, penso lo abbiano fatto un po’ tutti quelli che sognano il mio percorso. Tagliavo e cucivo tutte le stoffe di recupero che trovavo in casa! Puntualmente creavo abiti da sposa e abiti con lo strascico – lo strascico è tutt’ora la mia fissazione  – e da lì ho capito con certezza che questa sarebbe stata la mia strada. I fiori delle bomboniere diventavano magicamente i bouquet da abbinare ai miei primi abiti per le bambole. Mio padre mi regalò un Ferrari Testa Rossa e quella era diventata l’auto ufficiale per le mie Barbie vestite da sposa. Direi che ero segnato, fin dalla tenera età, a fare questo lavoro! Ho fatto una scuola superiore professionale nel ramo “tecnico, abbigliamento e moda”: uscito dalla scuola potevi diventare un sarto oppure affacciarti al mondo del design.

Avrei voluto proseguire con la famosa scuola Marangoni, ma non mi sentivo di chiedere tutto quello sforzo economico ai miei genitori, poi io avevo la smania creativa, volevo “mettere le mani in pasta” subito. Il mio primo abito da sera e/o da sposa l’ho creato a sedici anni, ho stressato la mia insegnante di modello finché mi facesse provare ante tempo. L’ho costretta a fare dei pomeriggi solo con me per insegnarmi a realizzarlo.

Dopo la scuola ho fatto un po’ di sana e giusta gavetta in Max Mara, poi avevo il pallino di creare qualcosa che si ispirasse ai miei anni preferiti Quaranta, Cinquanta e Sessanta, dove la femminilità per stilisti come Dior, le Sorelle Fontana e Balenciaga era esaltata al massimo. Io volevo ricreare qualcosa di simile e il settore che mi avrebbe permesso di farlo era appunto quello della sposa, per avvicinare le ragazze normali a quegli anni favolosi, per arrivare al cuore della gente.

Dal 2002 lavoro sugli abiti da sposa, prima in un negozio con sartoria, poi ho fatto il consulente per diverse aziende, ho disegnato collezioni per altri, finché non ho aperto la mia atelier Pietro Amendola Couture.

Cosa rappresentano per te moda e haute-couture?

Per me la moda è tutto. Sono uno dei pochi che è riuscito a trasformare la sua più grande passione per moda, bellezza e vestiti in un lavoro. Io non faccio altro che pensare agli abiti e alle nuove creazioni in ogni momento della mia giornata. Quando mi corico per dormire penso a cosa farò con il tessuto che ho visto, mi vengono idee. La mia vita ruota tutta attorno a questa mia passione.

Le clienti, o le potenziali tali, che entrano nella tua atelier cosa trovano e cosa si possono aspettare?

Qui trovano unicità, trovano qualcosa che non c’è in giro. Parlando della mia realtà qui a Reggio Emilia, difficilmente si trova un prodotto pensato, studiato nei dettagli e realizzato fisicamente dalla stessa persona. Io mi occupo di tutto. Il grande Valentino diceva che prima di essere dei bravi stilisti occorre essere dei bravissimi sarti e io ho sposato a pieno questa filosofia.

Qui da me si trova, oltre l’unicità del capo, anche un servizio diverso dagli standard: io non mi fermo a creare e cucire l’abito, ma desidero che la donna che acquista un mio abito sia perfetta in ogni particolare come accessori, dettagli, acconciatura: tutto secondo me deve essere misurato in modo che tutti possano apprezzarne il bello e la cura.

Come decidi quale sarà l’abito giusto da proporre a chi ti sta davanti per farle vivere un sogno…e ti senti mai la fatina buona di Cenerentola?

Non è facile, perché io mi rivolgo principalmente alla donna nel giorno più particolare della sua vita, quello del matrimonio. Entrare nel suo mondo in punta di piedi significa, prima di tutto, capire personalità, aspettative e gusti. Di solito mi prendo anche un’ora di pura conversazione prima di iniziare a proporre le mie idee. Cerco di esaminare le caratteristiche di chi ho di fronte perché anche un piccolo gesto, il suo muoversi, mi fa venire un’idea oppure me la toglie. Mentre parliamo la mia mente si riempie di volumi, colori e dettagli da proporre. Inizialmente assecondo i gusti della cliente poi piano piano inizio a prendermi le mie libertà creative. Quando le clienti iniziano a capire come mi muovo, e perché lo faccio, allora mi lasciano carta bianca e si affidano a me. Il mio fine è riuscire a dare qualcosa di emozionante, generare soddisfazione e gioia nell’indossare un mio capo.

Se una cliente entra e si aspetta di trovare qualcosa di già pronto, fatto e finito è una cliente che perderò sicuramente, ma se entra, si crea empatia, mi segue e vede nascere con me il suo abito unico, allora è una cliente che rimane.

Quando un Pietro Amendola lascia la tua atelier, tu cosa provi?

Inizialmente mi dispiaceva. I miei abiti sono come miei figli che nascono dalla mia testa, attraversano le parole e arrivano alle mie mani e al cuore. Assieme a ogni abito nasce un’emozione, quella di vederlo che prende forma prima sul manichino e poi sulla cliente. Ci rimanevo male, ma oggi la vivo diversamente, ogni abito che io creo ha la sua casa, quindi sono contento che vada via. Ora l’emozione la vivo a pieno vedendolo, nel giorno “x”, addosso alla donna che lo ha voluto. A quel punto mi rilasso e mi godo i complimenti, lo ammetto!

Ci sono stati o ci sono dei momenti difficili per chi fa il tuo mestiere? Cosa vorresti consigliare a chi si approccia, oggi, alla carriera di stilista?

Di difficoltà ce ne sono tutti i giorni. La cultura per l’artigianato si è molto persa. Spesso le persone si meravigliano che l’abito in questione l’ho creato, pensato e realizzato tutto io. Faccio fatica, spesso, a far comprendere l’entità del mio lavoro. Nel DNA di noi italiani ci dovrebbe essere, non la capacità di lavorare con le mani, non tutti siamo portati, ma quanto meno la prontezza a capire un oggetto realizzato a mano. Siamo famosi per il fatto a mano e l’artigianato italiano in tutto il mondo, no?

A livello economico è molto difficile, per farsi vedere si ha bisogno di trovare tante possibilità; purtroppo l’artigiano non ha tutte queste possibilità. Le mie clienti fidate diventano anche amiche, ma sono comunque poche. Molte non hanno la mentalità di farsi fare qualcosa su misura e qui entra anche in gioco la paura di vedere come sarà, come verrà. Siamo tutti molto più accomodanti, a livello mentale, con ciò che è già pronto, fatto e finito da portare a casa subito. La magia dell’attesa si è persa. Trovare un posizionamento e far capire il valore economico di una realizzazione su misura è difficile.

Se vuoi fare questo lavoro non devi pensare che, aprendo una sartoria, farai dei soldi o diventerai famoso, ma dovresti farlo per dare spazio alla tua parte di anima che ha bisogno di raccontarsi.

A quelli più giovani di me vorrei dire che non basta fare un bel disegno, l’abito va sentito durante la creazione. Essere prima di tutto dei bravi sarti è fondamentale.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

La mia fonte di ispirazione maggiore è il corpo femminile. Voi donne avete la fortuna pazzesca di avere una scelta infinita e io credo possiate essere comode, sempre, anche indossando abiti dal sapore femminile e non per forza dalle forme maschili.

Le mie vere ispirazioni, che mi portano a creare un abito, sono gli anni Cinquanta e Maria Antonietta con le sue “mattane”creative esagerate!

Qual’è il tuo sogno nel cassetto e quali sono i tuoi progetti futuri?

Il mio sogno nel cassetto è sfilare, come “Re Giorgio” (Giorgio Armani) a Parigi. I miei progetti futuri sono, a breve termine, disegnare la mia collezione 2020 e, un po’ più a lungo termine, creare un evento per mettere assieme le mie creazioni moda e i miei quadri!

Cos’è glamour dal tuo punto di vista? 

Glamour è eleganza innata, quella che non fa moda, ma è stile.

Io mi sono innamorata dell’atelier di Pietro e del suo mondo. Ti accoglie tra ritagli di stoffa, cataloghi, riviste patinate e porcellane, ti fa accomodare dietro a una tenda che ti divide dal mondo esterno e ti fa entrare nella dimensione del sogno. Da Pietro mi sono emozionata, divertita e sono uscita con un abito che emana una allure glamour anche da dentro al porta abiti!